Il potere occulto delle madri

Il potere occulto delle madri

Articolo pubblicato sul settimanale “La Riviera”

Cos’è la Cultura? L’antropologia ci offre una semplice definizione utilizzando un’immagine: è come l’acqua in cui nuota un pesce. In essa il pesce vede attraverso ma non la vede in quanto tale.

Allo stesso modo per un individuo, la cultura del suo territorio è qualcosa in cui egli nuota inconsapevole e questa plasma la forma della sua vita. E’ lo sfondo collettivo in cui è immerso e attraverso cui dà senso a se stesso e ai vari accadimenti della vita, compresa la morte stessa.

Quest’acqua lo avvolge sin dall’inizio ed egli percepisce, conosce, comprende e differenzia, per esempio, gli amici dai nemici solo attraverso la lente della sua cultura.

Quest’acqua è possibilità ma anche vincolo, poiché egli è talmente involto da essere condizionato nello stesso tempo in tutte le scelte che farà, anche in quelle che crede fatte in piena libertà.

Essendo completamente immerso e non vedendone i confini egli sarà inconscio della propria cultura che, come l’aria che respira, non è solo fuori ma anche dentro di lui.

Utilizzando quest’ immagine una domanda si apre: quale codice culturale avvolge l’individuo del nostro territorio? In altri termini è possibile rendere un po’ più consapevole questo sfondo inconscio? fare un’analisi chimica di quest’ acqua e ritrovare in alcune sue componenti la radice di alcuni atteggiamenti tipici del nostro vivere quotidiano?

Beninteso, la delimitazione più o meno ampia di tale territorio è lasciata all’ esperienza di ogni lettore; si può intendere per territorio quello del proprio paese sino a quello della nazione intera o anche oltre, come si vuole. Inoltre, consapevole della complessità del tema, non si vuole dare una risposta esaustiva ma semmai aprire una riflessione su quei comportamenti che nell’insieme sono valutabili come negativi.

Dunque cosa si intende per codice culturale? Generalmente è la forma usuale degli atteggiamenti e dei comportamenti che si condividono con gli altri in un dato territorio e attraverso cui ci si riconosce come appartenenti ad esso.

Prendiamo per esempio un atteggiamento che spesso si incontra e che è veramente nell’aria del nostro territorio: il diffuso senso di un quotidiano sopruso dei propri diritti. Specifico che non si sta proprio parlando solo di mafia, (la quale, come si vedrà, ha linfa nella stessa radice), quanto piuttosto di quel senso di avere a che fare, a più livelli, con un altro generico che continuamente fa vedere che “lui può, lui ha più diritto, lui se lo può permettere”. Per meglio capire basta fare qualche esempio concreto: qualcuno che in un ufficio ti passa davanti perché conosce qualcun altro che lavora dentro l’ufficio; il senso di ostinata prevaricazione a sorpassarti con l’auto per strada; il parcheggio dell’auto a “spina di pesce” o dove impedisce il fluire del traffico; o ancora i marciapiedi ormai impraticabili poiché intasati di ostacoli, piante, tavoli ecc; le moto che intralciano; la pubblicità incollata sui muri di chiunque; o di quell’alone di potere di cui molti si ammantano quando arrivano ad occupare un ruolo socialmente riconosciuto, anche il più piccolo; il mancato riconoscimento del lavoro fatto che “ti sarà pagato più avanti” obbligandoti ad elemosinare il dovuto; le raccomandazioni per avvantaggiarsi sugli altri; gli atteggiamenti che tendono a denigrare e squalificare il nostro prossimo invece di solidarizzare con lui. Di esempi l’esperienza, personale e sociale, di ogni lettore sarà comunque più lunga della mia possibile lista.

Ciò si traduce per l’individuo del nostro territorio nella percezione di un diffuso senso di precarietà e fragilità dei propri diritti; egli si sentirà in una costante lotta per la propria affermazione e il riconoscimento di sé.

Perché c’è quest’aria? Generalmente si tende a spiegare questi fatti parlando di maleducazione, di senso civico scadente, di labile senso della legalità; si dice che viviamo in un mondo dove c’è chi se ne frega e chi deve subire un po’. In effetti tutto questo c’è.

Proviamo però a dare una spiegazione che, restituendoci un senso, aumenti la nostra consapevolezza e la rafforzi nel suo compito di protezione verso tali soprusi.

Cos’è questo atteggiamento travalicante i diritti dell’altro, questo stile diffuso? Esso è potere inteso come essere più forte, diverso, migliore degli altri simili. Una sorta di virilismo che però ha poco a che fare con una vera virilità. Ma dov’ è la radice di questa forma specifica di potere? La radice è nella “madre”. Spiego.

Il potere non è tutto uguale ma ha molte varianti; quella indicata dai comportamenti sopra descritti ne è solo una e connota che chi lo pratica con tali peculiarità è, purtroppo, un uomo ancora sotto il dominio del desiderio di sua madre. Al di là della più o meno grande immagine che dà di se stesso, con il suo bisogno di predominare e travalicare sugli altri è un uomo ancora immaturo. Infatti, poiché ogni madre per il proprio figlio desidera umanamente il massimo, con tale desiderio lo carica della potenza della sua stessa ambizione, tanto che alla fine la personalità del figlio è intrisa inevitabilmente del desiderio di sua madre. Egli dovrà essere forte, bello e affermarsi nella vita. Questo in fondo sarebbe una questione normale, di giusto e vitale narcisismo per affrontare l‘entrata nella vita. Il problema è quando un individuo si crede e si pensa forte in se stesso e non è consapevole in realtà di quanto è il desiderio di sua madre a condizionarlo ancora nel suo carattere e nei suoi comportamenti attuali. Non basta certo avere una vita autonoma per essere indipendenti da tale sfondo alla base della propria esistenza. Egli si crede libero e forte ma in realtà è dominato da questo potere invisibile che lo condiziona sin dalla sua infanzia. Questa pretesa forza, inoltre, sperimenta come estremamente frustante l’incontro con un limite che lo confina, cosicché le regole che organizzano la vita in comune con gli altri sono mal sopportate e divengono continuamente travalicate e disattese. In termini generali qui si assiste all’incontro (o allo scontro) tra il dominio della natura e quello della cultura, e tra i due l’individuo del nostro territorio pare aderire al primo, quello che sente connaturato, istintivo, ovvero quello Di sua madre. Se le cose stanno così, nel nostro territorio vige –invisibile- una forte cultura matriarcale che orienta la personalità degli individui verso una forma diffusa di autoreferenzialità individualista o di asocialità menefreghista e di opposizione verso ciò che si pone come suo limite. Oltre al machismo altri tipici comportamenti di un tale individuo che vive sotto il segno della madre sono la passività, l’indolenza, il vittimismo, la pretesa di farsi sempre servire dagli altri; forme diffuse che si incontrano in varie situazioni pubbliche e private. A ben vedere poi questi ultimi sono soltanto l’opposto di quei comportamenti sopradescritti e caratterizzati da un’aggressività solo più attiva.

In fondo se guardiamo obiettivamente dentro la nostra storia culturale, troveremo che il matriarcato, attraverso i suoi trasgressivi figli devoti, di fatto ha portato ( e tende continuamente a perseguire) una lotta contro l’ordine patriarcale dove (chiaramente), le regole, i limiti, la comunicazione definita, la solidarietà, la giusta competizione, la prestazione competente e la condivisione dei diritti e dei doveri sono la sua diretta forma ed espressione.

Questo baluardo della madre è una sorta di altare che la nostra cultura spesso fa difficoltà ad affrontare; è un qualcosa che rimane sullo sfondo, occultato, premessa quasi intoccabile, ammantata di sacralità. E’ giusto che sia così in fondo, ma una riflessione su di esso e sulla sua forma di potere invisibile è necessaria al fine di renderla più visibile e cosciente, per poterci orientare e differenziare dai suoi aspetti negativi. C’è quindi nel nostro territorio una radice da cui emergono cose buone e meno buone e di ciò chi è genitore, tra le mille incombenze del suo ruolo, deve proporsi una riflessione e assumersi una responsabilità.

E’ possibile attuare un processo di trasformazione di questi aspetti? Questa domanda trascina con se alcune altre: oltre al ruolo di madre qual’é il progetto di realizzazione delle donne in tale territorio? Cosa fanno i padri, come affrontano nell’educazione dei figli il compito di traghettarli verso quel mondo dei diritti e dei doveri condivisi? Oppure loro stessi sono ancora preda dello stesso potere influenzante che dalla madre passano poi a ricercare nelle mogli? Questi sono però discorsi altri. Ciò che si vuole è comunque riportare la responsabilità della formazione dell’individuo dove essa si genera cioè all’interno della famiglia; rintracciare nel suo ruolo sociale la genesi degli aspetti positivi e negativi del nostro vivere collettivo.

Per ora il nostro territorio è l’ennesimo teatro di un confronto antico tra codice delle madri e codice dei padri. In mezzo i figli che sin quando non si renderanno consapevoli dei condizionamenti profondi che li abitano non potranno mai veramente scegliere il loro destino.

Dott. Mauro Verteramo

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